Storia di Balestrate, nata da un immaginario tiro di balestrate

«Quantum a litore maris infra terram per jactum balistae protenderit…»: con queste parole, riportate in un decreto del re Federico d’Aragona del 1307, s’inizia la storia di Balestrate. A scoprire e raccontare tutto questo fu Domenico Tuzzo, che studiò a lungo la storia del paese.

Quel decreto stabiliva che tutto il territorio costiero della Sicilia, compreso da un immaginario tiro di balestra scoccato dal bagnasciuga, apparteneva al diretto dominio del re; poi, col trascorrere degli anni, la denominazione “terre delle balestrate” si restrinse solo ad un breve tratto di costa, tra i torrenti San Cataldo e Calatubo, situato al limite occidentale dell’attuale provincia di Palermo. Queste terre furono di diritto regale per un secolo e mezzo, fino a quando, attraverso un altro decreto del rè Alfonso il Magnanimo del 26 febbraio 1456, esse furono “graziosamente” donate al Camerlengo Nicolo Leofante, per passare poi, di mano in mano, ai Leto, ai Santoro, ai Maltese, ai Graffeo, ai Gesugran-de. Le prime case della borgata, che prese dalla contrada il nome di SICCIARA (da seppia, in siciliano «siccia», di cui il mare era ricco), furono costruite nell’area attigua all’antica tonnara dei Fardella al tempo dei Santoro; altre ne sorsero, un po’ discoste, al tempo dei Maltese. Successivamente, circa duecento anni fa, le une e le altre si congiunsero e costituirono una sola borgata, popolata da contadini e da pescatori provenienti dai vicini paesi di Terrasini-Favarotta, di Cinisi, di Partinico. Ai Graffeo e ai Gesugrande si deve, però, lo sviluppo sostanziale di quel povero nucleo abitato, che ebbe la sua prima chiesetta dedicata a S. Anna e le prime cure pastorali.

Nel 1800 contava già 500 abitanti, che crebbero di numero di anno in anno sotto le amorevoli protezioni di Don Paolino Gesugrande, detto nei documenti «patro- nus et proprietarius Sicciarae». Ben presto questa comunità cercò di liberarsi dalla soggezione ecclesiastica e civile di Partinico (al cui Arciprete doveva, fra l’altro, dare ogni anno le «primizie» della terra) e a questo fine valse l’opera delle famiglie più cospicue del piccolo centro (i Gesugrande, gli Evola, i Marino, i Ferrara), autorevolmente sorretta da eminenti giuristi (Pompeo Vannucci, Gaetano Vaccaro, Placido Bongiardina) e da magnanimi consiglieri reali (il Duca della Feria e il Lioy). Si arrivava così al decreto del 29 marzo 1820, con cui il rè Ferdinando I di Borbone deliberava che «le due borgate di Sicciara e di Trappeto saranno riunite in un solo Comune, il quale conserverà la denominazione di BALESTRATE, avendo per luogo centrale dell’amministrazione comunale la borgata di Sicciara».

Diventato Comune autonomo. Balestrate iniziava la sua ascesa sulla via del progresso economico e sociale. I suoi 500 abitanti del 1800 diventavano 800 nel 1830, 1000 nel 1840, 2000 nel 1860, 3000 nel 1870, 4000 nel 1900, 6000 nel 1920…

Un’impronta indelebile nella storia del paese fu data da Filippo Evola (1812-1887), che come sacerdote e uomo di cultura si pose al servizio di Balestrate, per la quale edificò la grande Chiesa Madre, che domina oggi la piazza principale detta appunto «Piazza Rettore Evola», e spese le sue paterne cure di medico e di scrittore. Filosofo, teologo, medico, letterato, economista, storico, agronomo, oratore facondo, bibliografo, presidente e socio onorario di numerose accademie, fu Pari nel Parlamento Siciliano del 1848 e concluse la sua infaticabile attività alla guida di due prestigiose istituzioni di Palermo, la Casa Professa e la Biblioteca Nazionale, col pensiero sempre rivolto alla sua Balestrate, dove volle essere sepolto quando, nel 1887, concluse la sua vicenda terrena all’età di 75 anni.

Un notevole impulso all’economia del piccolo paese fu dato dall’insediamento e dall’attività di tré stabilimenti enologici, costruiti, attorno al 1827, di fronte al promontorio del primo nucleo abitato, da tré grandi capitani d’industria dell’epoca, Beniamino Ingham, Vincenzo Florio e Giovanni Woodhouse. I tré stabilimenti, vere e proprie succursali di quelli che fiorirono a Marsala, riuscirono ad affermare la produzione vinicola balestratese fino al punto che lo stesso Ingham definì i vini locali Ì più dolci tra quanti ne avesse gustati nelle altre parti del mondo. L’industria del vino, attorno al 1840, finì con l’occupare più della metà dell’abitato e col coinvolgere tutte le attività produttive della popolazione, richiamando nuovi insediamenti e nuove fabbriche, quali quelle degli Aglialoro, dei Lamia, dei Pampinella e dei Richichi.

Un’altra notazione storica da farsi è quella relativa all’epopea garibaldina del 1860, sottolineando che l’unica vittima «offerta» da Alcamo alla causa fu balestratese, fu quel tale Filippo Giliberto, inteso «Sciloccu», che, nell’atto di disarmare una guardia borbonica, veniva proditoriamente ucciso il 16 maggio 1860. C’è da ricordare anche che il biondo Eroe, il 23 giugno dello stesso anno, venuto in barca da Castellammare, dove si era recato per porgere il suo saluto ai volontari della spedizione di Giacomo Medici, fu accolto trionfalmente da tutta la popolazione balestratese e pernottò nella casa del Sindaco del tempo, Dott. Filippo Ferrara. Balestrate è, dunque, un paese di storia recente: in circa due secoli di vita ha cercato di affermarsi nel campo economico attraverso la proverbiale laboriosità della sua gente che ha distribuito le sue fatiche tra il mare e la campagna, che le fanno corona e da cui ha attinto le sue principali risorse.