Grazie, Giuseppe

Oggi è il trentesimo anniversario dell’uccisione di Giuseppe Bommarito, un carabiniere che assieme ad altri colleghi è stato ammazzato da persone mafiose mentre svolgeva il suo lavoro, perché dava loro “fastidio”. Le ricorrenze servono a rinnovare i valori, a misurare il livello di maturazione, a  non dimenticare. A capire se e quanto una comunità è cambiata.
Trent’anni sono importanti, un po’ come quando un giovanotto raggiunge la maggiore età. Tanti non erano nemmeno nati trent’anni fa. Altri invece c’erano, c’erano eccome, ieri come oggi a Balestrate, e ricorderanno Bommarito con una messa, un corteo, una rappresentazione. C’erano pure molti di loro, mafiosetti, boss e scassapagghiara, che in piazza assisteranno alle manifestazioni con chissà quali pensieri per la testa. Come ragiona un mafioso non lo so, sono però sicuro che tanti giovani non hanno ancora ben compreso cosa significhi morire mentre si svolge il proprio dovere. Perché in un mondo dove conta sempre più solo ciò che si vede, che si tocca, l’unica morte concepibile è quella del corpo. Ma la mafia non ammazza più dalle nostre parti, è diventata invisibile, si è mimetizzata. E allora individuarla, per chi non ha le giuste coordinate di sangue e violenza, resta molto difficile.
Eppure di mafia si continua a morire, ogni giorno. Al commerciante che paga il pizzo viene uccisa la dignità, ma nessuno se ne accorge perché non ci sono funerali. Al giovane senza lavoro che viene scavalcato da un raccomandato viene uccisa la speranza, ma nessuno ci fa caso perché non si sente alcuno scoppio. L’imprenditore costretto a chiudere la propria azienda per il monopolio imposto da Cosa nostra, muore in un’esplosione di illegalità che sta contribuendo a radere al suolo l’economia dell’Isola. Sta morendo, la Sicilia,  lentamente e silenziosamente, così mestamente che nessuno sembra accorgersene. E allora i trent’anni dalla morte di Bommarito restano l’unico boato in grado di scuotere le coscienze. L’eco di quegli spari che lo uccisero in via Scobar resta l’unico rumore che tiene viva l’indignazione, l’unico scossone assieme alle lacrime e al dolore che si rinnovano anno dopo anno, giorno dopo giorno. Ecco perché un uomo ucciso per colpa dei valori in cui crede, in realtà, non muore mai.
Per chi crede nei valori cristiani non è certo un meccanismo difficile da comprendere: Gesù che muore in croce compie il più alto gesto di generosità possibile. Dona la sua vita per spiegare a chi verrà dopo di lui il senso della vita, l’importanza di un ideale, il valore profondo dell’amore verso il prossimo.  E Bommarito e gli altri carabinieri morti, cosa sono stati se non dei novelli Cristi di una Sicilia che ha messo in croce gli uomini più valorosi? Cosa se non cittadini che potevano scegliere di fare un passo indietro, di smetterla di dare fastidio, potevano cambiare lavoro o voltarsi dall’altra parte, stare dietro a una scrivania o passare col nemico, piuttosto che mettere la propria vita a rischio?
Perché lo hanno fatto? Ma per tenere alti i loro valori e per tutti noi, per darci una speranza, per spiegarci, anche oggi, a trent’anni di distanza, che il senso profondo della vita non può stare nella ricerca del potere, della ricchezza a tutti i costi, del successo senza sacrificio, ma al contrario nella difesa dei principi  importanti su cui si regge l’umanità, della pace, della famiglia, del rispetto verso il prossimo. Sono valori che talvolta solo l’indignazione per dei gesti eclatanti ha risvegliato nei siciliani. Che l’indomani, puntualmente, sono tornati a voltarsi dall’altra parte. Non tutti però, perché l’eco di quel sangue ha toccato il cuore di migliaia di persone, in maniera esponenziale. Trent’anni dopo a Balestrate c’è chi ha denunciato e testimoniato in tribunale contro gli estorsori, di mafia si parla a scuola, Bommarito si ricorda in chiesa e nelle strade. Grazie alla famiglia, grazie a tanti volontari, grazie alla scuola,  a insegnanti come Paola Rinaldi, che giorno dopo giorno hanno lavorato assieme ai ragazzi in progetti di legalità, trasmettendo loro quello che i libri non possono insegnare: che anche a Balestrate, sperduto paese di una Sicilia ai confini del mondo, c’è una speranza di cambiamento che cresce, cresce, ed è sempre più vicina all’orizzonte. E questo, grazie a uomini come il carabiniere Giuseppe Bommarito. E noi gliene saremo per sempre grati.