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La richiesta di 25 mila euro al giornalista, arriva l’assoluzione: nessuna offesa, ha esercitato solo il diritto di critica

“La verità alla fine viene a galla”, “il tempo è galantuomo”, “i nodi vengono al pettine”: scegliete voi quale slogan utilizzare per questa storia. La storia di un giornalista che aveva osato criticare la spesa dei soldi dei cittadini da parte di un’amministrazione e che per questo era stato citato in giudizio con una richiesta danni da 25 mila euro. Ma non dall’amministrazione, non sia mai! E che sono fessi? A citarlo è stato il consulente, un avvocato. Questa è la mia storia, è vero, ma è anche la storia di tantissimi altri colleghi, è la storia della Sicilia, dell’Italia, di un mondo dove chi comanda non ama mai essere contraddetto e crede di essere Dio in terra.
Il giudice, dopo tre anni e mezzo, mi ha dato ragione. Questa vittoria sarebbe banale – 25 mila euro sono niente come richiesta a un giornalista, fidatevi – se dietro non ci fossero motivazioni più profonde, ideali, valori, non miei soltanto, ma di tanta gente che si è conquistata tutto quello che ha col sacrificio, col lavoro, col merito.
La storia la ricordano in molti: l’ex sindaco di Balestrate, Tonino Palazzolo, nominò un avvocato di fiducia assicurandogli 10 mila euro all’anno. Questa scelta fu critica sul blog dove fu fatto un semplice ragionamento: non poteva pubblicare un bando e scegliere l’esperto con evidenza pubblica? Visto che i soldi spesi dal Comune sono soldi dei cittadini, sono dannati soldi nostri, ma non è il caso di fare le cose col massimo della trasparenza? Anche perché oltre a quel consulente erano stati affidati altri incarichi tra cui uno alla figlia di un dirigente comunale dell’epoca.  La risposta del sindaco fu: la legge mi consente di sceglierlo direttamente.
In realtà dietro questo atteggiamento degli amministratori, negli anni si sono alzate polemiche e critiche della corte dei conti contro la pubblica amministrazione, che invece di trovare al proprio interno le risorse di cui ha bisogno continua a spendere reclutando personale esterno.
Per questo scrissi quella nota polemica attirandomi le ire del consulente del sindaco, Carmelo La Fauci Belponer, di cui oggi vi assicuro che non conosco nemmeno il viso. Mi citò in giudizio in sede civile, chiedendomi 25 mila euro. Badate bene, non mi denunciò in penale, mi chiese direttamente un risarcimento economico per diffamazione in sede civile. Questa pratica sembra sempre più diffusa e in molti casi probabilmente serve a scoraggiare l’azione del giornalista, che di fronte al rischio di dover affrontare un processo può rinunciare a raccontare la verità.
E invece io quell’articolo l’ho scritto e l’ho pubblicato. E lo rifarei mille volte ancora, perché come ha scritto il giudice nelle motivazioni, non solo rappresentava la verità, ma avvalendomi del diritto di critica sancito dalla Costituzione, ha usato toni civili senza mai offendere nessuno. Articolo 21 della Costituzione, Santa Costituzione, che rende ogni persona libera di esprimere il proprio pensiero, anche con toni duri e aspri se di mezzo c’è un pubblico interesse.
Mai nessuna vittoria ha avuto il sapore più dolce. Ma v’immaginate se questa sentenza fosse arrivata solo qualche mese prima, durante le elezioni? Magari nel giorno in cui dal palco della piazza qualche politicotto o aspirante tale spendeva il suo tempo ricoprendomi di insulti? Che goduria signori miei, roba da mangiarsi un pollo, non lo nego: perché questa sentenza non è soltanto la banale vittoria contro uno che mi chiedeva soldi, ma è la vittoria di un sistema di persone che non ci sta ed è disposto ancora ad alzare la voce. Ma quanto ci state voi a guadagnare 10 mila euro? Ma vi è mai capitato che un giorno un amico vi chiamasse per dirvi “firma qui, da oggi sei consulente di questo comune, di questo ente, di questa struttura”? Non è così che funziona. Quei soldi sono dei cittadini. Così l’Italia è andata allo sbaraglio.
Nemmeno la decisione del giudice di compensare le spese, sulla quale probabilmente farò ricorso, è riuscita a impedire la mia esultanza. Nella giustizia esiste la legge del soccombente: se tu mi quereli e io vinco, tu mi paghi le spese processuali. Il giudice, senza particolare motivazione, ha suddiviso le spese: ognuno si paga il suo. Meno male che io sono un giornalista, ho le spalle coperte, ho il sostegno dell’Assostampa, dell’avvocato  e la decisione non mi sfiora minimamente. Ma v’immaginate un cittadino che fa un altro lavoro, che si incavola verso l’amministrazione che gli aumenta le tasse, che critica così come è permesso dalla Costituzione, e si vede recapitare a casa una querela? Vince, e deve pagare pure le spese del processo! Una follia. Ma la giustizia ha solo bisogno di tempo e così aggiusteremo anche questo. Una follia che però mi rafforza: perché mi fa capire che questo compito, quello di criticare, di scrivere, di bacchettare, di correre rischi, è soprattutto il mio compito e lo porterò avanti finchè potrò.  E devo dirvi onestamente che non è neanche la sentenza a darmi questa convinzione. Perchè io sapevo di essere nel giusto a prescindere dall’esito, che poi ha solo messo nero su bianco il tutto. Al massimo questa sentenza potrà essere utilizzata da tutti quei politicotti che amano sventolare “le carte”, urlando con i fogli in mano”perchè io ho le carte!”, come se si trattassero delle tavole della Bibbia. Ecco, stampatevi questa sentenza e ci fate un bel quadretto da appendere.
Detto questo, grazie a chi ha partecipato tre anni fa al famoso sit in per la libertà d’informazione, ai miei amici, all’avvocato Francesco Tafarella, a Pino Maniaci di Telejato, alle associazioni, a Salvatore Ferrara, che senza guardare allo schieramento in Consiglio ha sempre sostenuto la mia causa. A tutti coloro che anche semplicemente salutandomi mi hanno sempre incoraggiato. In fondo questa è la battaglia degli onesti e di chi crede nella meritocrazia, un partito che non ha colori ma solo valori.

Categories: Cronaca
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  • Ottimo, e ricorri pure contro la compensazione delle spese. E' giusto che le paghi il soccombente, cioè chi ti ha incautamente chiamato in giudizio !